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lunedì 28 aprile 2008

Dai bidelli agli onorevoli, un ’Italia alla deriva

C'erano una volta le impiraresse che perdevano gli occhi a infilar perline, le filandine che passavano la vita con le mani nell'acqua bollente e le lavandere che battevano i panni curve sui ruscelli sospirando sul bel molinaro.

Una scuola in provincia di Napoli (Fotogramma)


Ma all'alba del Terzo Millennio, al passo col resto del mondo che produceva ingegneri elettronici e fisici nucleari e scienziati delle fibre ottiche, nacquero finalmente anche in Italia delle nuove figure professionali femminili: le scodellatrici. Cosa fanno? Scodellano. E basta? E basta. Il moderno mestiere, per lo più ancora precario, è nato per riempire un vuoto. Quel vuoto lasciato dalle bidelle che, ai sensi del comma 4 dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124, assolutamente non possono dare da mangiare ai bambini delle materne. Detta alla romana: «Nun je spetta».

C'è scritto nel protocollo d'intesa coi sindacati. Non toccano a loro le seguenti mansioni: a) ricevimento dei pasti; b) predisposizione del refettorio; c) preparazione dei tavoli per i pasti; d) scodellamento e distribuzione dei pasti; e) pulizia e riordino dei tavoli dopo i pasti; f) lavaggio e riordino delle stoviglie. Scopare il pavimento sì, se proprio quel pidocchioso del direttore didattico non ha preso una ditta di pulizie esterna. Ma scodellare no. Ed ecco che le scuole materne e primarie, dove le bidelle (pardon: «collaboratrici scolastiche») sono passate allo Stato, hanno dovuto inventarsi questo nuovo ruolo. Svolto da persone che, pagate a parte e spesso riunite in cooperative, arrivano nelle scuole alle undici, preparano la tavola ai bambini, scoperchiano i contenitori del cibo, mescolano gli spaghetti già cotti con il ragù e scodellano il tutto nei piatti, assistono gli scolaretti, mettono tutto a posto e se ne vanno. Costo del servizio, Iva compresa, quasi un euro e mezzo a piatto. Mille bambini, 1.500 euro. Costo annuale del servizio in un Comune di media grandezza con duemila scolaretti: 300.000 euro.

Una botta micidiale ai bilanci, per i Municipi: ci compreresti, per fare un esempio, 300 computer. Sulla Riviera del Brenta, tra Padova e Venezia, hanno provato a offrire dei soldi alle bidelle perché si facessero loro carico della cosa. Ottocento euro in più l'anno? «Ah, no, no me toca...». Mille? «Ah, no, no me toca...». Millecinque? «Ah, no, no me toca...». Ma ve lo immaginate qualcosa di simile in America, in Francia, in Gran Bretagna o in Germania? (...) E sempre lì torniamo: chi, se non la politica, quella buona, può guidare al riscatto un Paese ricco di energie, intelligenze, talenti straordinari, ma in declino? Chi, se non il Parlamento, può cambiare le regole che per un verso ingessano l'economia sul fronte delle scodellatrici e per un altro permettono invece agli avventurieri del capitalismo di rapina di muoversi impunemente con la libertà ribalda dei corsari? (...)

Giorgio Napolitano ha ragione: «Coloro che fanno politica concretamente, a qualsiasi schieramento appartengano, devono compiere uno sforzo per comprendere le ragioni della disaffezione, del disincanto verso la politica e per gettare un ponte di comunicazione e di dialogo con le nuove generazioni ». Ma certo questa ricucitura tra il Palazzo e i cittadini, necessaria come l'ossigeno per interrompere la deriva, sarebbe più facile se i partiti avessero tutti insieme cambiato quell'emendamento indecente infilato nell'ultimo decreto «milleproroghe» varato il 23 febbraio 2006 dalla destra berlusconiana, ma apprezzato dalla sinistra. Emendamento in base al quale «in caso di scioglimento anticipato del Senato della Repubblica o della Camera dei Deputati il versamento delle quote annuali dei relativi rimborsi è comunque effettuato». Col risultato che nel 2008, 2009 e 2010 i soldi del finanziamento pubblico ai partiti per la legislatura defunta si sommeranno ai soldi del finanziamento pubblico del 2008, 2009 e 2010 previsto per la legislatura entrante. Così che l'Udeur di Clemente Mastella incasserà complessivamente 2 milioni e 699.701 euro anche se non si è neppure ripresentata alle elezioni. E con l'Udeur continueranno a batter cassa, come se fossero ancora in Parlamento, Rifondazione comunista (20 milioni e 731.171 euro), i Comunisti italiani (3 milioni e 565.470), i Verdi (3 milioni e 164.920). (...)

E sarebbe più facile se i 300 milioni di euro incassati nel 2008 dai partiti sulla base della legge indecorosa che distribuisce ogni anno 50 milioni di rimborsi elettorali per le Regionali (anche quando non ci sono), più 50 per le Europee (anche quando non ci sono), più 50 per le Politiche alla Camera (anche quando non ci sono: quest'anno doppia razione) e più 50 per le Politiche al Senato (doppia razione) non fossero un'enormità in confronto ai contributi dati ai partiti negli altri Paesi occidentali. (...) Certo che ha ragione Napolitano, a mettere in guardia dai rischi dell'antipolitica. Ma cosa dicono i numeri? Che la legge attuale, che nessuno ha voluto cambiare, spinge i partiti a spendere sempre di più, di più, di più. Per la campagna elettorale del '96 An investì un milione di euro e fu rimborsata con 4, in quella del 2006 ne investì 8 e ne ricevette 64. E così tutti gli altri, dai diessini ai forzisti. Con qualche caso limite come quello di Rifondazione: 2 milioni di spese dichiarate, 34 incassati. Rimborsi per il 2008? C'è da toccar ferro. (...) «Un fantastilione di triliardi di sonanti dollaroni». Ecco a parole cos'hanno tagliato, se vogliamo usare l'unità di misura di Paperon de' Paperoni, dei costi della politica. A parole, però. Solo a parole. Nella realtà è andata infatti molto diversamente.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano (Ap)

E si sono regolati come un anziano giornalista grafomane che stava anni fa al Corriere della Sera e scriveva ogni pezzo come dovesse comporre un tomo del mitico Marin Sanudo, il cronista veneziano che tra i 58 sterminati volumi dei Diarii e i 3 delle Vite dei Dogi e il De origine e tutto il resto, riuscì a riempire l'equivalente attuale di circa 150.000 pagine. Quando il vecchio barone telefonava in direzione per sapere della sua articolessa, il caporedattore sudava freddo: «Tutto bene il mio editoriale, caro?». «Scusi, maestro, dovrebbe tagliare 87 righe». «Togliete gli asterischi». Questo hanno fatto, dal Quirinale alle circoscrizioni, nel divampare delle polemiche sulle spese eccessive dei nostri palazzi, palazzetti e palazzine del potere: hanno tolto gli asterischi. Sperando bastasse spargere dello zucchero a velo per guadagnare un po' di tempo. Per tener duro finché l'ondata d'indignazione si fosse placata. Per toccare il meno possibile un sistema ormai così impastato di interessi trasversali alla destra e alla sinistra da essere diventato un blocco di granito. (...)

Almeno una porcheria, i cittadini italiani si aspettavano che fosse spazzata via. Almeno quella. E cioè l'abissale differenza di trattamento riservata a chi regala soldi a un partito piuttosto che a un'organizzazione benefica senza fini di lucro. È mai possibile che una regalia al Popolo della Libertà o al Partito democratico, a Enrico Boselli o a Francesco Storace abbia diritto a sconti fiscali fino a 51 volte (cinquantuno!) più alti di una donazione ai bambini leucemici o alle vittime delle carestie africane? Bene: quella leggina infame, che avrebbe dovuto indignare Romano Prodi e Silvio Berlusconi e avrebbe potuto essere cambiata con un tratto di penna, è ancora là. A dispetto delle denunce, dell'indignazione popolare, delle promesse e perfino di una proposta di legge, firmata a destra da Gianni Alemanno e a sinistra da Antonio Di Pietro. Proposta depositata in un cassetto della Camera e lasciata lì ad ammuffire. Ma se non ora, quando?

Fonte : http://www.corriere.it/cronache/08_aprile_28/un_italia_alla_deriva_fe1f746e-14e8-11dd-805d-00144f02aabc.shtml

giovedì 24 aprile 2008

Jailed Eritrean govt journalist goes missing - RSF

ASMARA (Reuters) - An Eritrean government journalist has disappeared inside the Red Sea state's jails after being held without trial for two years, Reporters Without Borders (RSF) said on Thursday.

Tura Kubaba worked for the Kunama-language service of government-run radio, RSF said.

Eritrea routinely denies statements from the press freedom organisation, saying RSF is acting on behalf of world powers to sully the government's reputation.

RSF calls Asmara the world's worst violator of press freedom, outdoing North Korea and Cuba.

"Amid general silence, a new name has been added to the list of journalists who have disappeared in Eritrea's jails," RSF said in a statement.

It accused the government of building a "wall of terror" which hindered such cases coming to light.

Kubaba was arrested in late 2006 and held with 2,000 other prisoners until he was transferred to an unknown location in 2007.

Reporters Without Borders, quoting an unidentified source in Eritrea, said Kubaba was arrested for having associated with ethnic Kunama opposition groups.

There was no independent confirmation.

RSF said 16 journalists have been imprisoned since the government cracked down on free press in 2001. There are no independent media in Eritrea.

(Reporting by Jack Kimball; Editing by Charles Dick)

(For full Reuters Africa coverage and to have your say on the top issues, visit: http://africa.reuters.com/)

Thu 24 Apr 2008, 13:03 GMT

Migrant boat sinks off Tunisia, 3 dead, more missing

TUNIS (Reuters) - Tunisian coastguards recovered the corpses of three illegal migrants who were among a group of more than 20 people who went missing when the small boat carrying them to Europe capsized, witnesses and newspapers said.

The migrants set out late last week for the Italian island of Lampedusa, one of the main transit points for poor Africans hoping to start a new life in Europe, said newspaper Achourouk, which has good contacts in Tunisia's security services.

Witnesses said the three bodies washed up on a beach in the eastern town of Chabba.

"I still don't know if my 18-year old son Aymen is dead or alive," local resident Tayeb ben Hussein told Reuters by phone. "What is sure is he was on that boat heading for Europe."

He said his son was not among the three bodies found but that he recognised one as the corpse of another local man.

Government officials were not immediately available for comment.

Last year, nearly 20,000 migrants arrived in Italy by boat from North Africa. At least 471 were reported dead or missing after hazardous journeys, according to the U.N. refugee agency.

Migrant support groups accuse the European Union of pressuring North African governments to expel illegal migrants but failing to produce promised aid to help them find alternative livelihoods.

Thu 24 Apr 2008, 12:16 GMT

Onus on Ethiopia, Eritrea to resolve dispute, says top UN peacekeeping official

22 April 2008 – Ethiopia and Eritrea are primarily responsible for settling their border dispute and must follow up on the commitments they made in an accord in 2000, the top United Nations peacekeeping official stressed today.
Given Eritrea's announcement today that it no longer supports the UN peacekeeping presence, known as UNMEE, Under-Secretary-General for Peacekeeping Operations Jean-Marie Guéhenno told reporters following a closed Security Council meeting on the situation between the Horn of Africa neighbours that "now we are reaching the end of what peacekeeping can achieve."

He noted that peacekeeping can only make a difference if the countries involved have made a political commitment.

Eight years after the signing of the Algiers Agreements which ended the war between Ethiopia and Eritrea, "it is essential that the parties recommit themselves to that process, that they complete what they started in Algiers," Mr. Guéhenno stated.

He added that the authority of the Council regarding peacekeepers has been challenged in this case, which has implications for other operations.

In a special report to the 15-member body on UNMEE released earlier this month, Secretary-General Ban Ki-moon laid out four options for the future of the peacekeeping operation, including the possibility of axing the mission, because of restrictions imposed by Eritrea on its side of the disputed border.

He warned in the report that none of the options are ideal as they all bear serious risks and would not resolve the impasse created by the Eritrean restrictions. Ending the mission could result in a return to open hostilities, for example, he wrote.

"Yet the prevailing circumstances seriously limit the available courses of action," Mr. Ban noted.

The decision was made to temporarily move UN personnel and equipment out of Eritrea in March after the country cut off fuel supplies to UNMEE, paralyzing the operation on that side of the disputed border with Ethiopia.

Onorevole si dia un taglio


Pensioni da 3 a 10 mila euro al mese. Con soli cinque anni di mandato. Prese già a 50 anni. E cumulabili con qualsiasi altro reddito. È il vitalizio di cui godono gli ex parlamentari. Ma per i loro privilegi nessuno parla di riforma.


Il privilegio parlamentare non ha colore politico, tocca tutte le sponde partitiche, senza riguardi per i limiti d'età. Premia per cominciare il politico di professione, giovane leader di sinistra dal robusto curriculum, come Walter Veltroni, ex vicepresidente del Consiglio. Cinquantuno anni, consigliere comunale dal 1976, deputato dall'87, sindaco di Roma dal 2001, precoce in tutto l'attivissimo Walter è anche uno dei più giovani pensionati del nostro Parlamento: con 23 anni di contributi versati, dal 2005 riscuote dalla Camera un vitalizio mensile di 9 mila euro lordi (che si aggiunge allo stipendio del Campidoglio, di circa 5.500 euro netti). Non senza tormenti: consapevole del trattamento di favore rispetto ai comuni mortali che a partire dal prossimo anno potranno andare in pensione solo a 60 anni, Veltroni fa sapere di avere provato a rifiutare il vitalizio cercando di farlo congelare a Montecitorio; non essendoci riuscito (l'eventualità non è prevista dai regolamenti) alla fine ha deciso di distribuirlo in beneficenza alle popolazioni africane.

Il privilegio è cieco al merito e dispensa i suoi vantaggi a prescindere dalle prestazioni lavorative fornite. Toni Negri, leader di Potere operaio, nel 1983 era detenuto per associazione sovversiva e insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Per restituirgli la libertà, Marco Pannella lo inserì nelle liste radicali facendolo eleggere in Parlamento. Conquistato lo scranno, Negri mise piede alla Camera solo per sbrigare le pratiche connesse al suo insediamento. Dopo poche settimane, temendo di finire di nuovo in gattabuia, si diede alla latitanza in Francia senza mai più farsi vedere a Montecitorio. Ciononostante, oggi riscuote 3 mila 108 euro di pensione parlamentare senza avere prodotto nemmeno una legge: la sua personale vendetta contro lo Stato borghese. Ecco due delle sorprese che spuntano dalla lista delle pensioni elargite da Camera (in totale, 2.005 per una spesa di 127 milioni di euro l'anno) e Senato (1.297 per 59 milioni 887 mila euro) a favore degli ex parlamentari (nelle cifre sono comprese anche le 1.041 pensioni di reversibilità incassate dagli eredi di eletti defunti) e che per la prima volta 'L'espresso' pubblica in esclusiva.


Viva il cumulo


Veltroni e Negri non sono episodi isolati. Il privilegio del vitalizio per deputati e senatori non conosce infatti ostacoli e si cumula con tutti i redditi: si somma all'indennità (198 mila euro l'anno) di chi si è dimesso da parlamentare per entrare nel secondo governo Prodi (tra i tanti, il viceministro all'Economia Roberto Pinza), allo stipendio da lavoro dipendente di chi è tornato a insegnare (Marida Bolognesi, ulivista), alla retribuzione di commissario Enac (Vito Riggio, ex Dc, 150 mila euro lordi l'anno per questo incarico), alle nomine alle varie Authority (Mauro Paissan, Privacy, 144 mila euro lordi). E, soprattutto, si cumula con tutti i livelli di reddito, anche quelli più ragguardevoli. Susanna Agnelli, dinastia Fiat, ha più volte conquistato lo scranno con il partito repubblicano. È stata anche ministro degli Esteri e oggi, non che ne abbia bisogno, con 20 anni di contribuzione riscuote un vitalizio di 8 mila 455 euro al mese. Luciano Benetton, anche lui eletto al Senato nel 1992 per i repubblicani, per 2 anni spesi a Palazzo Madama incassa una pensione di 3 mila 108 euro lordi: briciole per un capitano d'industria della sua levatura. O per altre due ex star di Montecitorio, avvocati di professione, titolari di avviatissimi studi professionali, nel 2006 secondo e terzo, dopo Silvio Berlusconi, nella classifica parlamentare dei redditi dichiarati. Si tratta di Publio Fiori e Lorenzo Acquarone. Il primo, ex An, a fronte del milione e 400 mila euro di reddito annuo incassa quasi 10 mila euro al mese di vitalizio; mentre l'altro, Acquarone, Udeur, al milione 300 mila euro di Irpef aggiunge anche 9 mila 400 euro mensili di vitalizio parlamentare.

Riforma? Solo per gli altri


E sì che i richiami - opportuni - alla fine dello sperpero previdenziale in Parlamento risuonano quotidianamente: giù le mani dalle pensioni, la riforma Maroni e lo 'scalone' non si toccano, tuona il centrodestra. In pensione a 60 anni se davvero vogliamo risanare i conti pubblici, rincarano i 'riformisti' di centrosinistra. Tranne poche eccezioni, quelle di rifondaroli, verdi e comunisti italiani, maggioranza e opposizione non sembrano nutrire dubbi sull'inopportunità di riportare a 57 anni il limite per la pensione. "Se si vive sino a 87 anni, come avviene oggi", sentenzia Francesco Rutelli, "nessuno può pensare di avere una pensione da 57 a 87 anni". Giusto. E difatti Confindustria aggiunge che con le nostre finanze disastrate non possiamo permetterci tanta generosità. Mentre la Ue ci marca stretto e invoca misure draconiane per stoppare le pensioni d'anzianità facili e i trattamenti di favore.

Ma una cosa balza evidente sfogliando i riservatissimi regolamenti pensionistici: i sacrifici previdenziali non sembrano riguardare i parlamentari. Le regole che si sono date stanno lì a dimostrarlo. Per i deputati è in vigore un regolamento approvato con una riforma dall'Ufficio di presidenza nel luglio del 1997. Recita che gli onorevoli il cui mandato parlamentare sia iniziato successivamente alla XIII legislatura del 1996 conseguono il diritto alla pensione al raggiungimento dei 65 anni. L'unico vincolo è quello della contribuzione: devono essere stati fatti versamenti per almeno cinque anni, quelli di una legislatura piena. Così, almeno per l'età pensionabile, gli onorevoli sembrano allineati al resto della cittadinanza. Ma si tratta di un'illusione. Fissato il limite ecco gli sconti. Sì alla pensione a 65 anni ma, attenzione, l'età minima per il vitalizio scende di un anno per ogni ulteriore anno di mandato oltre i cinque. Sino a raggiungere il traguardo dei 60 anni. Ma non è finita. Una gran parte dei deputati risulta eletta prima del 1996. Per loro resta valida la normativa in vigore prima della riforma. E cosa stabilisce questa normativa? Che si ha diritto al vitalizio all'età di 60 anni, riducibili a 50 utilizzando tutti gli anni di mandato accumulati oltre i cinque minimi richiesti. Morale della favola? Con oltre tre legislature, per esempio 20 anni di contributi, si può andare in pensione addirittura sotto i 50 anni.

Ancora più generosi si rivelano i senatori: sotto la spinta delle critiche degli anni Novanta, anche a Palazzo Madama hanno varato una riforma previdenziale con la quale gli eletti a partire dalla XIV legislatura del 2001 hanno diritto alla pensione solo a 65 anni e a condizione di aver svolto un mandato di cinque anni. Ma si tratta di pura apparenza. Fatta la norma, cominciano le deroghe. Anzitutto, per coloro che hanno conquistato lo scranno prima del 2001, per i quali il privilegio antico di riscuotere il vitalizio a 60 anni con una legislatura, a 55 con due e addirittura a 50 anni dopo tre mandati resta immutato. Ma un trucchetto c'è anche per gli eletti del 2001: quelli che avranno collezionato un secondo mandato potranno anch'essi scendere a 60 anni. Insomma, chi la dura la vince.

Io la preferisco baby


Fine delle facilitazioni? Macché. Il comune cittadino può andare attualmente in pensione con 35 anni di contributi e 57 anni di età. Se lo scalone di Maroni non sarà toccato dal governo Prodi, dal prossimo anno ci vorranno addirittura 60 anni. Deputati e senatori potranno invece affrontare la vecchiaia con il conforto di ricche pensioni-baby. Secondo i regolamenti di Montecitorio e Palazzo Madama il diritto al vitalizio si acquisisce versando le quote contributive (attualmente 1.006 euro mensili) per almeno cinque anni di mandato. Davvero una bella differenza con i 20 anni di contributi minimi richiesti ai cittadini per la pensione di vecchiaia. E non basta. I parlamentari hanno voluto annullare anche gli effetti dell'instabilità politica che in Italia, si sa, porta sovente alla chiusura anticipata delle legislature. Come? Decidendo all'unisono che in questi malaugurati casi 2 anni e sei mesi di effettivo incarico sono sufficienti per il diritto alla pensione. Basta pagare contributi volontari per i due anni e mezzo mancanti. E senza nemmeno affannarsi con i versamenti: agli onorevoli parlamentari è infatti permesso di saldare anche a 'fine mandato e in 60 rate'. Più facile di così!


Rivalutazione automatica


Acquisito il diritto, si passa all'incasso. Naturalmente, sfruttando un altro privilegio legato al metodo di calcolo del vitalizio. A partire dal 1996, con la riforma Dini, i lavoratori italiani hanno dovuto dire addio al vantaggioso metodo retributivo, che ancorava la pensione ai livelli di stipendio della parte finale della carriera, per soggiacere ai rigori del contributivo, in base al quale l'ammontare della pensione è legato al valore dei versamenti effettuati nell'arco dell'intera carriera. Ancora una volta, deputati e senatori fanno eccezione. Come viene calcolato il loro vitalizio? Sulla base dell'indennità lorda (12 mila 434 euro) e degli anni di contribuzione. A ciascun anno è legata una percentuale: per cinque anni di mandato si ha diritto al 25 per cento dell'indennità (pari a 3 mila 109 euro lordi di vitalizio); per 10 al 38 per cento (pari a 4 mila 725 euro); per 20 al 68 per cento (8 mila 455 euro); fino ad arrivare all'80 per cento dell'indennità per i 30 anni e oltre (9 mila 947 euro). Con una ulteriore blindatura della base di calcolo: la cosiddetta 'clausola d'oro' grazie alla quale il vitalizio si rivaluta automaticamente essendo legato all'importo dell'indennità del parlamentare ancora in servizio.

Niente male davvero, soprattutto se si vanno a vedere le cifre versate dai parlamentari per riscuotere la pensione. Prendiamo il caso di un deputato cessato dal mandato nell'aprile 2006 ed eletto per la prima volta nel '94. Il suo mandato effettivo è di 12 anni, essendosi la XII legislatura ('94-'96) chiusasi anticipatamente dopo appena due. Ma sommando i contributi versati per riscattare i 3 anni mancanti (36 mila euro) a quelli regolarmente pagati durante il mandato (128 mila euro), l'onorevole neopensionato alla fine avrà versato complessivamente circa 164 mila euro per 15 anni di contribuzione. Un 'sacrificio' che gli consente di incassare oggi un assegno mensile di 6 mila 590 euro lordi. Con quali altri vantaggi? Nell'ipotesi che abbia oggi 57 anni e che viva fino a 87, come ipotizzato dall'onorevole Rutelli, questo deputato incasserà alla fine 2 milioni 372 mila euro a fronte dei 164 mila versati. Un giochino che farà rimettere alla Camera ben 2 milioni 200 mila euro. E per un solo deputato. Dove porterà l'andazzo? Montecitorio (dati 2006) ha in carico 2005 pensionati (reversibilità comprese): gli costano 127 milioni di euro a fronte dei 9 milioni 400 mila di entrate relative ai contributi versati dai deputati in carica. Altrettanto critica è la situazione al Senato che con le sue 1.297 pensioni spende ogni anno quasi 60 milioni a fronte dei 4 milioni 800 mila di entrate ricavate dai versamenti dei senatori in servizio. Un'autentica voragine con un 'buco' nel 2006 pari a 174 milioni di euro. Fino a quanto reggerà il sistema? "Noi nemmeno ci poniamo il problema", spiega un funzionario del Senato. Ci pensa lo Stato a ripianare ogni anno il disavanzo.

Qualcuno che si scandalizza per queste storture c'è anche in Parlamento. E magari, come il diessino Cesare Salvi, autore con Massimo Villone del bestseller 'Il costo della democrazia', invoca pure un intervento legislativo per allineare i parlamentari al resto dei cittadini: "Basta con questi scandalosi trattamenti di favore", dice, "ci vuole il contributivo per tutti".

Governo con vitalizio Anche il vicepresidente del Senato Milziade Caprili, di Rifondazione, chiede una riforma: "Sarebbe bello se con un atto unilaterale la politica scegliesse la strada di un ridimensionamento dei propri privilegi". Che ci pensi magari il governo, con la prossima 'lenzuolata' riformatrice? C'è da sperarlo, anche se proprio nei ranghi dell'esecutivo si annida un robusto, nuovo drappello di privilegiati: quello dei parlamentari eletti nello scorso aprile, come Roberto Pinza, imbarcati nel secondo governo Prodi e costretti a dimettersi per gli accordi presi dai partiti della maggioranza. Curioso e fortunato destino, il loro. Fossero restati deputati o senatori non avrebbero potuto riscuotere il vitalizio; come ex, invece, nonostante incassino anche indennità e stipendi proprio in quanto viceministri e sottosegretari "non parlamentari" (198 e 192 mila euro l'anno rispettivamente) possono tranquillamente intascare anche la pensione. In tutto sono 2 viceministri e 18 sottosegretari. Altri tre casi tra i tanti: Ugo Intini, vice di Massimo D'Alema agli Esteri, che oltre alla 'paga' spettantegli come membro dell'esecutivo, prende un vitalizio di 8 mila 455 euro lordi; Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia che incassa 4.725 euro e Alfonso Gianni, sottosegretario allo Sviluppo economico, Rifondazione comunista, che a 56 anni riscuote anche una pensione di 6 mila 600 euro lordi al mese.


Fonte:
http://espresso.repubblica.it

 

mercoledì 23 aprile 2008

NON BASTA "L'OPPRESSIONE MAROCCHINA", CI SI METTE ANCHE IL MEDIATORE



SAHARA OCCIDENTALE
22/4/2008   20.16




Arresti arbitrari, tortura sistematica, abusi di potere, detenzioni politiche, divieto di manifestare o di associarsi: sono alcune delle violazioni compiuto dal governo del Marocco nel Sahara occidentale secondo l'ultimo rapporto del Collettivo dei difensori Sahrawi dei diritti umani (Codesa), alcuni dqi quali sono stati personalmente vittime delle violenze denunciate Il Codesa, nel suo rapporto annuale relativo al 2007, sottolinea anche un altro aspetto di quella che definisce "l'oppressione marocchina": un'emigrazione illegale in aumento "a causa della tensione politica" e della povertà e disoccupazione che affliggono i giovani, con le drammatiche conseguenze che possono avere le traversate in mare verso l'Europa. Finora i colloqui sotto l'egida dell'Onu per decidere lo status del Sahara Occidentale, annesso dal Marocco nel 1975, non sono stati segnati da progressi significativi: Rabat insiste sulla proposta di concedere solo l'autonomia, mentre il movimento politico del Fronte Polisario chiede da anni un referendum sull'autodeteminazione in cui sia il popolo Sahrawi a scegliere tra autonomia e indipendenza. Nonostante questo stato di cose, Peter Van Walsum, inviato speciale del Segretario Generale dell'Onu per il Sahara occidentale, ha detto al Consiglio di sicurezza che a suo avviso "l'indipendenza non è un obiettivo realizzabile", attribuendo di fatto alla parte Sahrawi la responsabilità dello stallo dei negoziati. Van Walsum ha quindi proposto, come esperimento, trattative senza condizioni e sulla base di un'ipotesi provvisoria che l'opzione dell'indipendenza non figuri nel referendum.








UN council angered at Eritrea over border force

UNITED NATIONS, April 22 (Reuters) - Security Council members voiced anger on Tuesday at moves by Eritrea to force a U.N. peacekeeping mission to leave its border with Ethiopia, but postponed a decision on how to respond.

"The members of the council were unanimous in that the way the peacekeepers of UNMEE (the U.N. force) have been treated in Eritrea is totally unacceptable," South African Ambassador Dumisani Kumalo, current council president, told reporters.

The United Nations has almost completely withdrawn some 1,700 troops and military observers from a buffer zone along the border between the two Horn of Africa rivals after Asmara cut fuel supplies to the mission.

Eritrea said countrywide shortages had prompted the move, but President Isaias Afwerki said last week the continued presence of U.N. peacekeepers on the Red Sea state's border with Ethiopia, scene of a 1998-200 war, was illegal.

The peacekeepers had been stationed in a 15.5-mile (25-km) zone inside Eritrea. But Eritrea turned against UNMEE because of U.N. inability to enforce rulings by an independent commission awarding Asmara chunks of Ethiopian-held territory.

Kumalo conceded that Eritrea had genuine concerns. He said the council would return to the issue, probably next week. "We have to take time to really think this through," he said.

U.N. Secretary-General Ban Ki-moon said in a report earlier this month that if the peacekeepers abandoned the 620-mile (1,000-km) border, a new war could break out, although both countries have said they do not plan to renew hostilities.

Ban offered several options, including the permanent withdrawal of UNMEE, deploying a small observer mission in the border area, establishing liaison offices in Addis Ababa and Asmara or returning to the original full deployment.

The last option, however, looks unlikely given Eritrea's refusal to discuss the issue.

"The United Nations cannot really achieve a result if the two countries do not follow up on the commitment they made in 2000," when they agreed to host UNMEE, U.N. peacekeeping chief Jean-Marie Guehenno, who briefed the council, told reporters.

Most UNMEE troops have been sent home temporarily and less than 200 are now in Eritrea, with a few in Ethiopia.

Ethiopia has offered to hold talks with Eritrea but Asmara says Addis Ababa must first withdraw from Eritrean territory. Both sides have amassed troops in recent months.

U.S. envoy Alejandro Wolff said there was "a mood in the council of great, great dissatisfaction at the manner in which Eritrea has handled this," and accused the Eritreans of "shooting themselves in the foot."

"In the long term Eritrea will pay a big price for this misjudgment," he told reporters, without elaborating. (Editing by Alan Elsner)

Egypt detains 105 Eritrean migrants in south

CAIRO, April 22 (Reuters) - Egypt has detained 105 Eritrean migrants who slipped across the border from northern Sudan, security sources and rights groups said on Tuesday.

The migrants were caught on Sunday and are at a detention centre in Aswan province, which borders Sudan, they said. They are part of a wave of African migrants who pass through Egypt, many of them seeking to cross the border into Israel.

More than 300 Eritreans have been caught in Aswan province since February, and 66 have been tried in military courts.

Rights activist Ra'fat Samir Habib told Reuters that migrants caught by border guards went to military trial, while those caught by the police face civilian trial.

The military courts have sentenced six of the 66 to one-year prison sentences and the other 60 to suspended one-year terms, the sources said. Civilian courts have given illegal migrants suspended one-month prison terms, Habib said.

Eleven migrants have been killed on the Egyptian-Israeli border since the start of the year, mostly shot by Egyptian police. Police killed an Eritrean at that border last Thursday. (Reporting by Mohamed Abdellah, Writing by Jonathan Wright)

Tue 22 Apr 2008, 14:46 GMT

martedì 22 aprile 2008

Zimbabwe, armi cinesi a sostegno di Mugabe


Si aggrava in Zimbabwe la crisi post elettorale apertasi all'indomani del voto del 29 marzo. La sconfitta del presidente in carica Robert Mugabe, o almeno il fatto che né lui né il leader dell'opposizione Morgan Tvangirai abbiano vinto le presidenziali al primo turno, è confermata dal persistente rifiuto della Commissione elettorale di annunciare il nome del vincitore: un rifiuto ora legittimato dalla Corte Suprema che ha ordinato il riconteggio delle schede in 23 circoscrizioni in seguito alle richieste del partito di governo, lo Zanu-Pf, il quale ha ritorto contro l'Mdc, il Movimento per il cambiamento democratico guidato da Tvangirai, le accuse di brogli elettorali.

Il nuovo scrutinio è iniziato il 19 aprile dopo il fallimento dello sciopero generale indetto dall'Mdc per protesta contro la sentenza della Corte: la popolazione dello Zimbabwe è troppo sfinita di stenti e troppo impaurita per scendere in piazza, tutti sanno che Mugabe è pronto a tutto e non perdona. Secondo il segretario generale dell'Mdc, Tendai Biti, dal 29 marzo dieci militanti dell'opposizione sono stati uccisi dai sostenitori del presidente e circa 500 sono stati arrestati e si trovano tuttora in carcere. Può essere l'inizio di una repressione cruenta.

Lo stesso Tsvangirai, arrestato più volte nel corso degli anni, ha scelto prudentemente di rimanere in Sud Africa dove si era recato nei giorni scorsi per conferire con presidente sudafricano Thabo Mbeki, mediatore ufficiale nella crisi politica zimbabwana, e non è l'unico ad aver lasciato il paese temendo per la propria incolumità: sembra che almeno 3.000 famiglie di oppositori abbiano già scelto l'esilio volontario. È certo che le notizie dal mondo non incoraggiano gli zimbabwani alla rivolta. Il vertice straordinario della Sadc, l'organismo economico che riunisce gli stati africani australi, si è concluso con un'inutile esortazione alle autorità di Harare a pubblicare al più presto i risultati elettorali e a rispettare la volontà popolare e con l'invito a Mbeki a proseguire l'opera di mediazione nonostante che l'Mdc ne abbia chiesto la sostituzione non ritenendolo imparziale dopo la sua dichiarazione che quello in corso nell'ex Rhodesia sarebbe un normale processo post elettorale.

Ancora più deludente è la posizione dell'Unione Africana, che ancora non ha preso iniziative concrete, né si può dire le Nazioni Unite abbiano fatto di meglio. Il caso Zimbabwe infatti non era in agenda neppure alla riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza aperta ai leader africani, svoltasi il 17 aprile, dove a sollevare la questione sono stati, come sempre, Stati Uniti e Gran Bretagna. Quanto all'Unione Europea, il suo ambiguo atteggiamento nei confronti di Mugabe si è rivelato in occasione del vertice euro-africano svoltosi a Lisbona lo scorso dicembre quando, malgrado le proteste britanniche, lo ha invitato e accolto con onore violando le proprie stesse risoluzioni che vietano al leader di soggiornare nei paesi membri dell'UE: risoluzioni che furono decise dopo i brogli elettorali che alle elezioni generali del 2002 gli attribuirono la vittoria.

Mentre procede il riconteggio che, opportunamente manipolato, potrebbe attribuire la vittoria al governo, una nave cinese è intanto approdata al porto sudafricano di Durban, carica di armi e munizioni destinate al Ministro della difesa di Harare. Pechino è da tempo il maggior fornitore di armi dello Zimbawe, così come di altri regimi africani, dal Sudan all'Eritrea. Ma il carico in questione non fa parte del traffico d'armi ordinario tra i due paesi. Quelle trasportate sono armi leggere, adatte alle operazioni anti sommossa e l'ordine di spedizione è datato 1° aprile, tre giorni dopo l'inizio della crisi politica.

Per questo il Sud Africa, che in un primo tempo aveva affermato di non volerne impedire il trasporto attraverso il proprio territorio trattandosi di un normale carico commerciale, ha negato il permesso transito e d'altra parte nel frattempo gli scaricatori del porto avevano rifiutato di scaricare la nave. Dopo quattro giorni di attesa, quindi, il cargo ha lasciato Durban. Al momento non si sa dove sia diretto, forse verso un porto del Mozambico.

ETIOPIA: E'ROTTURA CON QATAR, APPOGGIA ERITREA E ISLAMICI SOMALI

(AGI/AFP) - Addis Abeba, 21 apr. - L'Etiopia ha annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche con il Qatar, accusato di contribuire alla destabilizzazione del Corno d'Africa. In un comunicato governativo diffuso ad Addis Abeba alle autorita' del pur moderato emirato del Golfo Persico si imputa in particolare di mantenere "stretti legami con l'Eritrea", storica avversaria della stessa Etiopia, e di fornire "assistenza diretta e indiretta alle organizzazioni terroristiche in Somalia": allusione ai miliziani rimasti fedeli alle Corti islamiche, sconfitte militarmente a fine 2006 grazie al determinante intervento delle truppe etiopiche oltre frontiera.
  "Tanto in Somalia quanto in altre parti del Corno d'Africa, compreso all'interno della stessa Etiopia, il Qatar e' stato uno dei principali sostenitori del terrorismo e dell'estremismo nella nostra regione", si afferma nella nota ufficiale. "Il governo della Repubblica Democratica Federale ha dimostrato considerevole pazienza nei confronti dei tentativi dello Stato del Qatar di destabilizzare tale regione, e in particolare nei confronti del suo comportamento ostile verso l'Etiopia. Per nuocere alla sicurezza nazionale etiopica, pero', il Qatar non ha lasciato nulla d'intentato, ed e' diventato ormai una fonte primaria d'instabilita' nel Corno d'Africa e anche altrove, su una scala piu' ampia. Ha fornito supporto e incoraggiamento a tutti coloro che sono pronti a fomentare l'insatabilita' in Etiopia e a minarne la sicurezza. Cio' e' andato ben oltre i forti legami con l'Eritrea", si sottolinea, chiamando in causa i fondamentalisti somali e di "altre aree" non meglio specificate.
  Tra i fattori di ostilita' il comunicato cita espressamente "l'attivita' dei mass media" qatarioti: allusione diretta con ogni probabilita' all'emitente televisiva satellitare 'al-Jazira', che ha sede appunto nello sceiccato. Secondo quanto precisato nel medesimo comunicato, le autorita' di Doha hanno respinto qualsiasi addebito. (AGI)

lunedì 21 aprile 2008

Egypt police shoot two Africans at Israel border


ISMAILIA, Egypt, April 20 (Reuters) - Egyptian police shot and wounded two migrants from Mali and Kenya who tried to slip over Egypt's desert frontier into Israel on Sunday, security sources said.

Escalating police violence at the Egypt-Israel border has left 11 migrants dead since the start of the year, while scores of others, mostly from Africa, have been detained. Police killed an Eritrean migrant at the border on Thursday.

"The Egyptian police were obliged to fire on two Africans while they were attempting to sneak into Israel via a border point south of Rafah after they refused orders to stop and tried to flee toward Israel," one Egyptian security source said.

The sources, speaking on customary condition of anonymity, said the migrants were both men in their twenties.

London-based rights group Amnesty International says thousands of migrants try to cross into the Jewish state from Egypt's Sinai peninsula each year, with numbers rising since 2007.

The migrants, including many from Sudan and a growing number from Eritrea, are seeking work or asylum away from conflict at home and harsh living conditions in Egypt, where activists say African migrants face economic marginalisation and racism.

Amnesty has called for an investigation into the border killings and says Israel has pressed Egypt to reduce the flow of people crossing illegally. (Writing by Cynthia Johnston, editing by Aziz El-Kaissouni and Mary Gabriel)

sabato 19 aprile 2008

There exists no other border demarcation in Africa as clearly defined as that of the Eritrean-Ethiopian boundary: President Isaias

from SHABAIT.COM

Asmara, 18 April 2008 - President Isaias Afwerki underlined that there exists no other border demarcation in Africa as clearly defined and marked in the map as that of the Eritrean-Ethiopian boundary. He made the remarks in an interview he gave to Aljazeera Television that was transmitted today. The President pointed out that the Eritrea-Ethiopia Boundary Commission (EEBC) concluded its mission indicating virtual demarcation on the map after waiting for five years during which the United Nations and specifically the Security Council failed to fulfill their obligation of implementing the Boundary Commission’s final and binding ruling on border delimitation that was issued on 13 April 2002 in accordance with the Algiers Peace Agreement. Stating that in line with the Algiers Agreement the task of the UN Peacekeeping Mission terminates after the issuance of the EEBC’s final and binding ruling, President Isaias underlined that the stationing of the peacekeeping mission in the border has not legal justification as the Commission’s ruling has already been virtually demarcated on the map, presented to both sides and concerned parties and since the border issue has reached legal conclusion. The President went on to indicate that the continued presence of the TPLF regime’s forces in sovereign Eritrean territories after the virtual demarcation is tantamount to occupation. Emphasizing the unconditional withdrawal of the regime’s forces from the sovereign Eritrean territories, he explained that this problem is basically created by the US and that the TPLF regime does not possess the power to occupy Eritrean territory without the support and encouragement of the US Administration. On Eritrean-UN relations, President Isaias underscored that if at all there exists a genuine and effective international organization, we do not want our relations with the UN to get complicated. In this respect, he elaborated that the basic problem with the organization emanates from its failure to implement the EEBC ruling in accordance with international laws. Hence, the problem is essentially not between Eritrea and the United Nations but rather the latter’s own problem, the President underlined. Noting that all resolutions of the Security Council and the UN as a whole are adopted under the US Administration’s pressure, President Isaias pointed out that the prevailing situation in Somalia is a clear reflection of US interests in the Horn of Africa. He further indicated that Washington is dictating its sole interest on the choice of people at global level, and as such the strong popular opposition being s witnessed in Somalia is a clear reflection of this state of affairs. Highlighting the fact that talks about the so-called US intentions to promote democracy in Africa is but sheer act of deception, President Isaias pointed out that in reality the United States strive to ensure its interests no matter a given African country is democratic or not. To this end, Washington pursues the policy of inciting ethnic and religious divisions among societies, and in the process create instability that would pave the way for crisis management, he elaborated. Replying to a question regarding relations between Sudan and Chad, President Isaias explained that the core of issue is that of Darfur, and that the interference of the US Administration and its partners in the issue has not only complicated matters but also negatively affected Sudanese-Chadian relations. He stressed the need for Sudan and Chad to work together towards resolving the Darfur issue without any external interference. The President also gave replies to questions concerning the situation in Kenya and US invasion of Iraq.

Eritrea says UN border force not legal

ASMARA (Reuters) - Eritrea's President Isaias Afwerki has said the continued presence of U.N. peacekeepers in the Red Sea state's border with arch-foe Ethiopia was illegal, government media reported on Saturday.
The United Nations has almost completely withdrawn some 1,700 troops and military observers from a buffer zone along the border between the two Horn of Africa countries after Asmara cut fuel supplies to its peacekeeping mission.
Eritrea said country-wide shortages had prompted the move.
"President Isaias underlined that the stationing of the peacekeeping mission in the border has no legal justification as the commission's ruling has already been virtually demarcated on the map," said the Eritrea Profile, a Ministry of Information newspaper.
In November, an independent boundary commission, set up by a peace deal ending Ethiopia and Eritrea's 1998-2000 border war, marked the 1,000 km (620 mile) frontier by map coordinates.
The United Nations extended the mandate of its mission in Ethiopia and Eritrea, known as UNMEE, for another six months in January. However, the mandate says UNMEE's continued presence is linked to the border demarcation.
Eritrea accepts the "virtual" demarcation of the border, and says Ethiopia should vacate its territory. Ethiopia calls the November decision "legal fiction".
Analysts say the U.N. extension was pushed through because of fears of a renewed conflict between the two neighbours. Both nations have said they will not start another war.
Asmara is angry with the world body for what it says is the U.N. failure to force Ethiopia to abide by the boundary commission's 2002 border ruling.
Human rights groups accuse both nations of using the border stalemate to clamp down on internal dissent.
The U.N. Security Council is expected to discuss the future of its UNMEE mission on Tuesday.

http://africa.reuters.com/top/news/usnBAN934545.html

giovedì 17 aprile 2008

Egypt police kill Eritrean migrant at Israel border


ISMAILIA, Egypt, April 17 (Reuters) - Egyptian police shot dead an Eritrean migrant on Thursday as he tried to slip across the frontier into Israel, bringing to 11 the number of migrants killed at the border this year, security sources said. The sources said two other migrants, from Eritrea and Sudan, were shot and wounded in the same incident when police opened fire on a group of migrants who disregarded orders to stop. All three migrants were men in their 20s and 30s, the sources said. Violence against migrants at the border has escalated since the start of the year, with police killing 11 and detaining scores of others, mostly from Africa.

Rights group Amnesty International has called for an investigation into the killings and says Israel has pressed Egypt to reduce the flow of people crossing illegally.

The London-based rights group says thousands of migrants try to cross from Egypt's Sinai peninsula each year, with numbers rising since 2007.

The migrants, including many from Sudan and a growing number from Eritrea, are seeking work or asylum away from conflict at home and harsh living conditions in Egypt, where activists say African migrants face economic marginalisation and racism. (Reporting by Yusri Mohamed; Writing by Cynthia Johnston


http://africa.reuters.com/country/ER/news/usnL17543681.html

mercoledì 16 aprile 2008

European tourists laud the prevailing peace and security in Eritrea



http://www.shabait.com/staging/publish/article_008166.html

Asmara, 15 April 2008 - European tourists expressed satisfaction with the peace and security they experienced in the course of their visit in Eritrea. Stating that they have visited different towns in the country, the tourists also pointed out that they have witnessed Eritrea's rich tourism potentials.

A 67-year old visitor, Mr. Klaus Hecking, said that he has visited Asmara, Keren and Geleb and expressed admiration to the hospitality the people accorded to the visiting tourists. He stated that Eritrea's rich natural resources, coupled with the prevailing peace and security, constitute the core of the country's tourism attraction.

Still another German visitor, Dr. Anneli Newill, who visited Eritrea for the second time with members of the Hammer Forum Association, expressed admiration to the Eritrean people's noble culture and hospitability and added that one can travel freely in Eritrea with a sense of security. Similarly, Dr, Wilfried Gobe, who visited the country for the first time, said that he was impressed with Eritrea's landscape and expressed appreciation to the hospitality accorded to him.

Also another tourist from Italy, Mr. Enzo Soleti, stated that he was deeply impressed with Asmara's neatness and said that he learned that the Eritreans are a hard working people keen on developing their nation.

Likewise, a German medical student, Ms. Lisa Sprung, said that she was impressed by Eritrea's natural charm. She further stated that as mentioned by the Lonely Planet magazine, Eritrea is one the major tourism destination countries in the world.

Dr. Cristoph Zerm, also a German national, said that he considers Eritrea a second home and that he is well acquainted with the country beginning in the year 2000. Indicating that he had visited almost all parts of Eritrea, Dr. Cristoph expressed admiration to the hospitability of the Eritrean people.




Etiopia, esplodono due stazioni di benzina

Addis Abeba, 15 apr.- Sono esplose ieri notte nella capitale etiope due stazioni di benzina a causa della deflagrazione di due bombe. Pesante il bilancio nonostante la notte tarda: ad ora si registrano almeno tre morti e decina di feriti, di cui diversi in gravi condizioni. Il governo accusa movimenti terroristi legati all'Eritrea, seppur senza specificare nomi specifici. Mentre Radio Nairobi precisa che gli attentati sono avvenuti uno al centro della capitale, mentre l'altro alla periferia nord.

Eritrea cuts diesel supplies to U.N. agencies-UN


ASMARA, April 15 (Reuters) - Eritrea has cut off diesel supplies to U.N. agencies in the Red Sea state, but the move may not be politically-motivated, the world body said on Tuesday.

The step comes just weeks after U.N. peacekeepers were forced to withdraw from the Eritrean-Ethiopian border over a petrol stoppage. Eritrea says the whole country faces shortages.

"When we sent our cars to the petrol station, we were told that there was an order not to supply fuel to U.N. agencies," said one U.N. official who asked not to be named.

"Given the fuel shortages in all other sectors of the economy, it's not targeting the U.N., nor is it political," the official said, adding that the majority of the world body's long-distance vehicles used diesel.

The official would not speculate on how long the cut-off might last. The Eritrean government was not immediately available for comment.

All diplomats and foreign bodies receive a fuel ration each month from the government. The Red Sea state has regular petrol supply problems mainly due to shortages of foreign currency.

But Eritrea also has frosty relations with the United Nations, which it accuses of failing to force arch-foe Ethiopia to implement a 2002 border ruling -- part of a peace deal that ended their 1998-2000 war.

The diesel stoppage comes only weeks after Asmara shut off fuel supplies to a 1,700-strong U.N. force, causing a near complete withdrawal.

U.N. Secretary-General Ban Ki-moon warned earlier this month that pulling the peacekeepers from the border could trigger renewed conflict some ten years after the start of the two-year war that killed 70,000 people. (Reporting by Jack Kimball; Editing by Richard Balmforth) (For full Reuters Africa coverage and to have your say on the top issues, visit: http://africa.reuters.com/)


http://africa.reuters.com/country/ER/news/usnL15298048.html

LA VERA FINE DELLA PRIMA REPUBBLICA

La Prima Repubblica non è finita nel 1994, è finita ieri;  il terremoto che ha colpito la sinistra può essere interpretato come la conseguenza del modo miope e insufficiente con cui proprio la sinistra affrontò 15 anni fa la crisi di quella fase della democrazia italiana, non cogliendone né il significato né le implicazioni. E perciò riducendosi oggettivamente, allora e poi, a un ruolo di puro e semplice freno anziché di spinta e di direzione. Ciò che portò alla fine la Prima Repubblica fu essenzialmente la mancanza di alternativa di governo, il fatto che per svariati decenni a reggere il Paese fossero più o meno sempre le stesse forze. Uno degli effetti ne fu per l'appunto la vasta corruzione (da qui Mani Pulite), insieme alla progressiva decrepitezza dei meccanismi e degli strumenti amministrativi (per primi quelli dell'amministrazione statale) e all'inamovibilità castale delle élites del Paese in quasi tutti i campi.  

La fine dei partiti di governo della Prima Repubblica (Dc e Psi) per effetto delle inchieste giudiziarie di Di Pietro non ebbe l'effetto di spingere quelli che erano ormai i reduci del naufragio comunista a una revisione radicale della propria storia. E neppure li indusse a una rivisitazione altrettanto radicale di tutto l'impianto socio- statuale italiano, delle reti d'interesse, dei luoghi di potere accreditati, delle convenzioni bizantine, delle fame posticce di un regime ormai alle corde. Ebbe anzi un effetto paradossalmente pressoché opposto. Indusse gli ex comunisti a considerarsi quasi come i curatori testamentari di questo insieme di lasciti, facendosi catturare dalla tentazione di poterne addirittura diventare agevolmente gli eredi. Ciò che infatti cominciò fin da subito a verificarsi. Con la conseguenza però che abbagliati da questa facile conquista gli scampati al naufragio comunista non sentirono più l'urgente necessità, che invece avrebbero dovuto sentire, di buttare a mare alla svelta il proprio patrimonio ideologico, di ravvedersi senza esitazioni delle loro mille cantonate, di prendere coraggiosamente un nome e un abito nuovi. O, se lo fecero, presero a farlo con tempi politicamente biblici, dell'ordine degli anni.

Nel frattempo orfano della protezione un tempo elargitagli dalla Dc e dal Psi, il potere tradizionale italiano cresciuto e prosperato sotto la Prima Repubblica si apriva volenterosamente a quelli che esso riteneva ormai i nuovi padroni della situazione. In breve tutto l'establisment economico- finanziario del Paese, tutta la cultura, tutta la burocrazia, tutti gli apparati di governo, dalla polizia alla magistratura, gran parte del vecchio cattolicesimo politico divennero o si dissero di sinistra. Ma proprio la massiccia operazione di riciclaggio e di «entrismo» da parte dei vertici della società italiana e dei suoi poteri, nell'area della sinistra ex Pci, insieme all'esasperante lentezza con cui procedeva la revisione ideologica di questa, hanno valso a porre il partito della sinistra ex comunista, nell'ultimo dodicennio, in una posizione sostanzialmente conservatrice. L'hanno reso di fatto il tutore massimo dell'esistente, incapace di comprendere i grandi fatti nuovi che si andavano producendo nel Paese, di rompere incrostazioni e tabù, restio a politiche animate da coraggio e da fantasia, timoroso infine di rompere le vecchie solidarietà frontiste. In vario modo questa parte, invece, se la sono aggiudicata fin dal 1994 le varie destre che allora videro la luce e/o che allora presero a ricomporsi.

Le quali, a cominciare da Berlusconi, hanno invece avuto facile gioco, esse sì, ad apparire fino ad oggi (e quale che fosse la realtà) tese al cambiamento, lontane dal potere costituito, prive di troppi pregiudizi ideologici, in sintonia con la pancia e con le esigenze più vere del Paese. Il merito indiscutibile di Walter Veltroni è stato quello di capire che sulla strada iniziata nel lontano 1993-94 la sinistra non poteva più procedere. Prendere le distanze dal governo Prodi ha voluto dire precisamente prendere visibilmente le distanze dalla tradizione. Da quella tradizione italiana che se da un lato era servita a far vivere il nome del socialismo e del comunismo, dall' altro però aveva reso sempre impossibile— ai partiti che ne portavano i nomi— qualunque autonomo ruolo politico innovativo alla guida del Paese.

GRAZIE WALTER

Grazie VUOLTER


Come dice la Litizzetto:

GRAZIE VUOLTER

grazie a Walter Veltroni che in un colpo solo è riuscito in quello che a nessuno in 50 anni di storia repubblicana era riuscito: liberare l'Italia dai comunisti!

Grazie a Walter finalmente nel nostro parlamento non ci saranno più i COMUNISTI.

Fuoti i Mussi, Diliberto, Bertinotti, Luxuria, Pecorario Scanio.....

FINALMENTE ARIA!

Grazie VUOLTER!!!

sabato 12 aprile 2008

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